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Spesso un angelo tocca il suolo


Spesso un angelo tocca il suolo. Installazione con la tela Impronte degli angeli dalla Trinità di Andrej Rublev (cm 80 x 60 circa) e sue note (cm 26 x 29 circa) 1997, per la rassegna La casa dell'angelo. Quali spazi per l'uomo? A cura di Fabio Alfano, Cantieri culturali alla Zisa, Palermo 2001 Foto 1, 4, 6 ®Fabio Alfano
















                 Spesso un angelo tocca il suolo
        Dallo Spasimo ai cantieri attraverso un film

La scena  
L’imprimatur di quelle pietre consumate


Arrivando nella sala del seminario, essendo entrata dal grande portone dello Spasimo, avendo percorso l’atrio.

Camminando dentro, fermandomi, muovendomi nell’ambiente e andandomene, ho tracciato una linea con i miei passi, una linea materiale fatta con il corpo eppure invisibile.
 E’ avvenuto un cambiamento quando le impronte hanno toccato il suolo e, nel momento in cui è rimasta la traccia, non ero più lì.
Non una graphia quanto una litura, una cancellazione non volontaria, senza strumenti. Una fondazione, un’incisione nella terra, un andare in vuoto, in alto, in basso, in tutte le direzioni.
Quest’imprimere era una promessa di mutamenti, collegamenti che accadranno, che potranno accadere dove, con quest’imprimatur, si stava delineando un margine
 


Nell‘interno

dove
attraverso il riaffioramento
appare la memoria del luogo
l’imperfetto Genoard

Alcuni anni fa, nel ’97, pensavo all’ icona della Trinità di Rublëv vista per la prima volta nel film Andrei Rublëv di Andrej Tarkovskij.
E’ stato un vederla in terzo grado: ho visto sul monitor il film, nel film l’icona.
Pensavo, dunque, alle forme, alle masse, agli angeli di quest’ icona, ragionavo su ciò che vedevo come grazia e mi chiedevo come fosse la loro presenza nei colori, nella purezza dei tratti, nell’inclinazione delle teste, nell’ara e nei segni residui davanti.
Pensavo: e in me? E mentre lavoravo, mentre avevo un foglio davanti con alcuni segni che chiamavano altro, non segni comunque, lavorando ho cominciato ad aprire il foglio e depositato poi altre tracce spiraliformi.
Aprendolo, cioè squarciandolo, avevo dato, mi erano apparse le tracce di quelle masse, le impronte di quegli angeli, avevo fatto del foglio una loro dimora. Si erano smembrati, lo avevano toccato e bruciato, aperto per non fare più diaframma fra davanti e dietro, tra mondo e mondo.
Avevo ridato e deposto su quella pagina, l’accensione del pensiero attraverso il contatto con la superficie in modo non mediato, il più diretto possibile, non trasformato alfabeticamente.


Percorsi
da qui sempre più in vuoto

Era come allargare e prolungare l’immediatezza dell’istante e fare dell’intuizione e dell‘agnizione, quindi per l’accensione del pensiero e per il riconoscimento, un territorio, una piena modalità, non tanto una variante.
Dato che proprio in questo movimento dove i collegamenti sono meno evidenti per la loro rarefazione, in questo non immediato effetto di riconoscimento, ne è possibile uno più primordiale.
Qui, nei collegamenti delle nostre percezioni, ci accorgiamo che un‘intuizione non è solo un campo ma che, con l’agnizione, il riconoscimento di persona, forma un dialogo.
Cosa intuisco, riconosco se non la fonte che mi appare come pietra liquida, gommosa?
E in quest’icona cosa mi dice Rublëv? Chi mi dice?
Andrej racconta di sé, di me, mi parla dell’umanità, del nostro stare sulla terra e del nostro camminare, agire. Disegna quelle masse, quelle forme umane che indicano la terra, noi stessi come scrittura di quella Trinità da cui lui si sentiva venuto.
Allora vedevo queste aperture sul foglio, sul piano, come finestre, mezzi attraverso cui percepire che, in questo caso, il luogo dell‘angelo è qui, davanti e dietro, prima e dopo, nell‘esterno e nell’interno.
E, attraverso queste aperture, si intravedeva un reale più reale di quello nel quale siamo, che trasforma la nostra visione, la nostra percezione.
Perché quello che si vede mediante lo squarcio è anche continuo con il piano di attraversamento, il foglio non è un limite, è appena una parete, una cerniera e non divide, indica, dà un contatto


Gli arabeschi sono reti e aurora 

circuiti sempre più immateriali


Seguendo il mio cammino, vado per tratti, faccio bellezza in tracce, ogni punto un punto trinitario, un punto autonomo e unito agli altri, nutrendo proprio così il senso di questa reciprocità, che implica già in sé la libertà più totale.
Questo spazio non è un‘estensione, riguarda piuttosto il fare di ogni spazio - limitato, illimitato - luogo.
Farlo di ogni spazio, di ogni superficie lavorata, realmente o virtualmente, di ciascun grumo che lo diventa.
Il tracciato di una linea è già un insieme di punti infiniti, geometricamente tutti legittimi. In questi, in questa varietà da cui nasce la linea, si muove l'intensità del segno, l'affondo della traccia stessa che, come ricerca, non ha un termine.
C’è tutta l’intensità della nostra concretezza? Chiama l'altra che la nutre?
L’angelo è immateriale ma lascia tracce quando incontra il mondo. Messaggero di relazioni, veicolo di rapporti umani, la sua casa non è molto angelica.
La fermata del bus, il sottopassaggio, lo spazio più residuo, un territorio mobile, la casa costruita con i materiali più poveri e con un disegno non molto commerciale ma che possa accogliere i nostri cedimenti, i nostri slanci.
 Una casa in cui si può anche lottare non sapendo se, dopo la lotta, si è vivi o interi. Dopo restano le tracce dei nostri combattimenti: le sue impronte toccano, bruciano il foglio, le mie se ne ritraggono.
Rimangono gli squarci, i laceramenti della superficie che delimitano l’attraversamento, lo spazio-cerniera il cui gioco è l’aratura di relazioni che stabiliscono, intrecciano una frontiera con la reciprocità del nostro stare.
L’angelo brucia, sconfina, il suo contatto è infuocato, il suo pensiero tattile restituisce la pressione e la sua scrittura che la sabbia lenisce e fa intravedere.
 

Spasimo resti del complesso monumentale Santa Maria dello Spasimo, XVI secolo e successive stratificazioni.

Genoard dall'arabo gennet-ol-ardh paradiso della terra, ora rimane 
un appezzamento ripristinato davanti al palazzo della Zisa a Palermo.

 

 

  Palermo, Ottobre 2001          Tommasina Bianca Squadrito